Attilio Bolzoni è una delle firme italiane più conosciute nel giornalismo che ha raccontato le storie di mafia. Il giornalista  scrive sulle pagine di la Repubblica dal 1982, ed ancora prima sulle colonne del giornale L’Ora, pagine attarverso cui ha raccontato 40 anni di mafia e Sicilia. Adesso è in libreria con La mafia dopo le stragi e Imperi criminali (edizioni Melampo), i primi due dei sei volumi della collana “Mafie” da lui curata che saranno in libreria entro la fine del 2018. Due libri particolari, raccolte di articoli pubblicati sul blog “Mafie” de la Repubblica. Scritti che parlano della mafia delle stragi, di cosa è diventata e dove va cercata adesso. Le firme ospitate sono tra le più autorevoli sul tema.

Attilio Bolzoni, giornalista di “Repubblica”, scrive di mafie dalla fine degli anni Set­tanta. Ha pubblicato con Giuseppe D’Avanzo La giustizia è cosa nostra (Mondadori, 1995), Rostagno: un delitto tra amici(Mondadori, 1996), Il capo dei capi (BUR-Rizzoli, 2007). E con Saverio Lodato C’era una volta la lotta alla mafia (Garzanti, 1998). Ha scritto anche: Parole d’onore (BUR-Rizzoli, 2008) e Faq Mafia (Bompiani, 2010). Nel 2009 ha ricevuto il premio “È giornalismo”.

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Bolzoni ha messo insieme magistrati, giornalisti, scrittori, uomini dello Stato, parenti delle vittime di mafia e attraverso le loro parole racconta il fenomeno mafioso nella sua parabola cangiante: una mafia camaleontica che è passata dall’odore del tritolo alle giacche di taglio sartoriale e all’alta finanza. Totò Riina è scivolato nella tomba con tutti i suoi segreti e la mafia delle stragi non c’è più. È finita un’epoca. Sono passati più di venticinque anni dalle uccisioni di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino ma oggi sappiamo tutto e niente. Le mafie hanno preso altre forme, sono élite criminali che puntano ad accorciare le distanze fra mondo legale e mondo illegale. Sono diventate apparentemente sempre meno aggressive e sempre più “collusive”, attraenti. E si nascondono. A volte non le riconosciamo più. «Io non so più come fotografare la mafia perché non riesco a vederla», dice Letizia Battaglia, la grande fotografa che con i suoi scatti l’ha fatta conoscere fuori dai confini italiani. Sempre più ricche e sempre più nascoste, le mafie ripuliscono i loro soldi dentro e fuori i confini nazionali. Nell’era della comunicazione senza frontiere, al passo con i tempi, le organizzazioni criminali italiane si alleano con quelle straniere per una spartizione del potere che non è più geografica ma rigorosamente economica. È valutato intorno ai 30 miliardi di euro il patrimonio confiscato in questi ultimi anni a cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. Un tesoro che lo Stato non ha saputo gestire. Più si sono moltiplicati i sequestri dei beni, più è affiorata – fra scandali e ritardi e fallimenti – l’inadeguatezza di agenzie governative e apparati giudiziari. Una “guerra” contro le mafie che, al momento, è persa.

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