Emanuele Licci, grande conoscitore e interprete della tradizione musicale salentina racconta Matteo Salvatore, un artista, un produttore di cultura, che in oltre cinquant’anni di attività ha dato alla Puglia, al Sud, all’Italia e al mondo uno straordinario contributo musicale, vocale, linguistico e tematico, considerato unico per quantità, qualità e tipologia.

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“Matteo Salvatore si racconta alternando fatti veri a quelle che sembrano a lume di buon senso sbruffonerie” – scrive Beppe Lopez in un bellissimo ricordo dedicato al cantante e musicista: “La poverissima infanzia ad Apricena (dove è nato nel 1925). Il papà facchino e la mamma, “camuffata da mutilata”, che va a chiedere l’elemosina a Poggio Imperiale per procurare un po’ di pane ai figli. Il lavoro da garzone di cantina a otto lire l’anno. La scomparsa di una sorella di quattro anni per denutrizione. Il ragazzino Matteo è tra gli uomini e i bambini di sette-nove anni che stanno “nella piazza del paese per essere venduti”. Poi l’incontro storico con il vecchio maestro Pizzicoli, cieco, suonatore di violino, mandolino e chitarra, “portatore di serenate” (quasi esclusivamente canzoni napoletane), dal quale Matteo in tre anni impara a suonare “alla perfezione”. A 20 anni il matrimonio con Antonietta, che però muore di tumore dopo poco più di un anno. A Benevento, che frequenta per contrabbando di tabacco, conosce e sposa una ragazza, con la quale ha una prima figlia. Finalmente emigra a Roma: ci mette un mese per arrivarci, saltando da un carretto di passaggio ad un altro. Cominciano gli anni vissuti in baracca. Canta con la chitarra canzoni napoletane ai tavoli di “Giggetto er Pescatore”, ai Parioli, l’inizio di una nuova storia che fece dire a Italo Calvino: “Matteo è l’unica fonte di cultura popolare, in Italia e nel mondo, nel suo genere”. Nel 1966 il suo primo lp, inciso a Milano: Il lamento dei mendicanti, accolto trionfalmente dal mondo della cultura. Nel 1968 partecipa al Cantagiro con Lu soprastante. Vive ancora in baracca quando fa la sua prima tournée in Canada. “Ho inciso anche lì. Avevo guadagnato più di due miliardi di oggi”. Nel 1972 arriva il suo capolavoro, Le quattro stagioni, un cofanetto di quattro lp con cinquanta canzoni incise per la Rca-Amico. Ad un certo punto Matteo annota: “La povera Adriana morì d’infarto”. Si tratta in effetti di una vicenda oscura, per la quale Matteo conosce anche il carcere. Dopo, “per quattro lunghi anni sono uscito fuori dall’arte”. Seguono un periodo di tournée e incisioni autogestite, il ritorno a Foggia ma anche i riconoscimenti informali di tutti coloro che praticano la musica popolare nei confronti del Maestro, del Pioniere. Lo venerano in particolare i napoletani: i Barra, i Bennato, Pino Daniele per il quale Matteo “è il più grosso fenomeno musicale italiano, potrebbe rappresentare la nostra musica nel mondo”.

Emanuele Licci, cantante, cantante, chitarrista e bouzukista.
È nato e vive a Calimera, nel corso degli anni ha studiato chitarra con i maestri Daniele Durante, Sergio Stefano Schiattone, Maurizio Colonna; dal padre Roberto Licci apprende l’amore per il canto in Griko, antica lingua del suo paese d’origine. Docente di chitarra presso l’Accademia di Musica di Lecce, ha insegnato presso il conservatorio “Tito Schipa“ di Lecce nel corso sperimentale di musica popolare.

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