Antonio Errico e Marta Seclì presentano lo scrittore Andrea Franzoso autore de Il disobbediente (PaperFIRST 2017).

Che cosa succede se un dipendente decide di non volgere lo sguardo altrove quando si accorge che il capo della sua azienda ruba? Se di fronte al dilemma: salvare la propria carriera o la propria coscienza, opta per quest’ultima? Nel febbraio 2015 Andrea Franzoso, all’epoca funzionario dell’internal audit di Ferrovie Nord Milano, scopre che il suo presidente utilizza denaro pubblico per i propri interessi. Fra le spese folli c’è veramente di tutto: materiale porno, viaggi, abiti firmati, poker online, oltre 180 mila euro di multe accumulate da suo figlio con l’auto aziendale. Ma ci sono anche tre quadri per l’ex presidente della Regione Lombardia, una stampa antica per il comandante dei carabinieri, consulenze a politici amici, e così via. Franzoso segnala il tutto internamente, ma gli dicono: «lascia stare». Decide di andare alle forze dell’ordine e presenta un esposto. Parte allora un’inchiesta della procura di Milano per peculato e truffa aggravata: il presidente è costretto a dimettersi ed è rinviato a giudizio. Andrea Franzoso, invece, subisce ritorsioni e un trasferimento in un altro ufficio, senza più alcun compito di controllo. Attorno a lui si fa il vuoto: i colleghi gli voltano le spalle e lo evitano. Infine, perde il lavoro. Questo libro è il racconto di quella vicenda, con una riflessione sul senso di quella scelta e sulle questioni che ne discendono: “vale la pena essere onesti?”

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Il disobbediente (edizioni PaperFirst) non è un pamphlet di accusa, ma – come ha scritto Milena Gabanelli – «un libro contro la paura». Dove si scontrano due logiche opposte. E dal quale emerge un intenso percorso di fede. Scrive Raffaele Cantone, nella postfazione: “Franzoso incarna alla perfezione l’archetipo del vero whistleblower: disinteressato e mosso soltanto dalla coscienza civica, ha anteposto l’interesse collettivo a quello personale”. “Nonostante tutto, ne valeva la pena”, osserva nella prefazione Gian Antonio Stella: “Perché, come spiegò Martin Luther King, saremo chiamati un giorno a render conto delle nostre scelte”. E poi, una volta tanto, ci sono concrete speranze di un lieto fine, sia per il processo attivato dalle denunce di Andrea, sia per quel che sta accadendo persino in Italia: dal caso di alcuni anni fa di Raphael Rossi, che smascherò a Torino il sistema delle mazzette all’Amiat-rifiuti, a quello recentissimo di Philip Laroma, il tributarista anglo-fiorentino che ha denudato la cupola delle raccomandazioni nei concorsi universitari, rifiutando l’amorevole consiglio del barone di turno: “Dai retta, non fare l’inglese, fai l’italiano”. E Philip, come Raphael e Andrea, ha deciso che esiste anche un modo onesto e dignitoso di fare l’italiano: non piegarsi al sopruso e all’illegalità.

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